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“Tutte le parti del mondo”, gli spunti di riflessione di Franco Limardi

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di Ilaria Solazzo –

Abbiamo intervistato Franco Limardi, autore del libro “Tutte le parti del mondo” edito da Bertoni Editore. Ecco la breve chiacchierata.

Benvenuto Franco. Cosa ti ha spinto ad intraprendere oltre la “carriera” di insegnante, sceneggiatore ed esperto in cinematografia anche quella di scrittore?

Grazie Ilaria. Per rispondere alla tua domanda, direi che le mie attività artistico/culturali sono nate e progredite di pari passo, nutrite dal piacere di ascoltare, leggere e vedere storie e narrazioni, dal desiderio di conoscere l’animo umano. Questo mi ha spinto poi a pensare di inventare io delle vicende, trasformarmi a mia volta in un “cantastorie”.

Hai delle abitudini particolari durante la scrittura?

No, non ho particolari “riti” o condizioni di lavoro. A volte ho scritto accompagnato da musica che contribuiva a mantenere l’atmosfera della storia che stavo raccontando, a volte ho invece nel più assoluto silenzio cercando la maggiore concentrazione possibile. Mi è capitato di scrivere durante l’estate, a volte durante l’inverno; forse l’unica abitudine che ho è quella di fare l’alba: quando sono alla fine di un romanzo, devo assolutamente finire la storia, chiudere la vicenda, scrivere la parola “fine” in fondo alle pagine. Mi viene in mente anche che prima di iniziare la stesura vera e propria del romanzo o dei racconti, ho la necessità di fare un accurato lavoro di documentazione, soprattutto poi se la vicenda che racconto si svolge nel passato, anche recente.

Che messaggio vuoi lanciare con il libro “Tutte le parti del mondo “?

Credo che in questo momento della storia, uno dei temi più urgenti, più forti, sia quello dei diritti umani. Malgrado da settanta anni circa esista la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promulgata dall’ONU, malgrado tali diritti siano ribaditi come obiettivo importantissimo nella famosa “Agenda 2030” e come condizione per un mondo più giusto e pacifico, le organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch, denunciano ogni anno migliaia e migliaia di casi di violazioni gravi e brutali dei diritti più basilari. La vicenda che racconto nel romanzo “Tutte le parti del mondo” parte da fatti realmente accaduti e attraverso una vicenda di spionaggio, vuole essere anche l’occasione per riflettere sui rapporti tra le persone comuni e il potere, su come gli interessi “superiori” finiscano a volte per schiacciare la vita e l’esistenza degli individui. Non pensate però ad un saggio; non sono un sociologo, né un politologo ma un autore che prova a raccontare storie che siano interessanti, il più possibile ben scritte e appassionanti, ma che offrano anche al lettore lo spunto per conoscere qualcosa che magari non sa, non conosce o che è passato inosservato.

Una curiosità: qual è il libro più bello che hai letto fino ad oggi?

Questa è una domanda difficilissima. Sono un lettore accanito e ho una serie di autori italiani e stranieri che amo particolarmente, ma questa schiera di scrittori si amplia continuamente; si può dire che ogni giorno io scopra qualcuno che ha scritto romanzi fondamentali, per stile, invenzione narrativa, tecnica. E anche se volessi escludere “l’ultimo arrivato” ti indicherei un romanzo per poi, subito dopo, indicartene un altro e poi un terzo e poi ancora e ancora…no, mi arrendo…non so rispondere a questa domanda.

Come hai scoperto la tua passione per la scrittura? Come l’hai coltivata negli anni?

Ho incominciato a scrivere storie durante la prima adolescenza. Storie che erano evidentemente influenzate dalle mie letture, romanzi e comics, dai film che vedevo, di ogni genere e quindi storie certamente non originali, grezze e “monumentali”; quelle in cui hai la pretesa di dire tutto, ma proprio tutto e cerchi di spiegare agli altri e a te stesso il senso della vita e il significato dell’universo. Insomma, ho iniziato a un’età in cui ancora non avevo letto quella massima che recita che dopo Omero è difficile, se non impossibile, inventare qualcosa di assolutamente originale. Negli anni successivi ho capito che dovevo imparare il mestiere, che ci sono regole da rispettare per poter scrivere e così ho “aggiustato il tiro”, affidandomi anche a maestri di scrittura, soprattutto cinematografica, come Robert McKee, Leo Benvenuti e per la narrativa a Luigi Bernardi. Per collegarmi alla tua domanda precedente, continuo ancora oggi a “studiare”; ogni volta che leggo, che vedo un film, assisto a uno spettacolo teatrale ma, soprattutto, ogni volta che riscrivo qualcosa di mio dopo averlo riletto con l’atteggiamento più critico che riesco ad assumere.

A tuo avviso quali differenze ci sono tra lo scrivere romanzi rispetto a testi di ben altra natura?

Ogni forma espressiva che passi attraverso la parola scritta ha caratteristiche peculiari, proprie. Scrivere per il teatro comporta la consapevolezza che il patto che si stabilisce con lo spettatore è un gioco delicato e fragile; bisogna poi ricordare sempre ciò che può fare un attore sul palcoscenico con la sua fisicità e dei limiti spaziali che gli sono imposti. Lo spazio scenico limita il realismo ma espande la fantasia e l’astrazione. La scrittura per il cinema ha meno limiti in questi ambiti, ma le descrizioni sono forse più affidate a dettagli e se vogliamo sono più superficiali perché legate allo sguardo che deve necessariamente seguire le immagini, i fotogrammi e le sequenze, i personaggi che si muovono sullo schermo. La narrativa offre all’autore una maggiore libertà, ma è una libertà apparente, limitata, perché quando il libro è nelle mani del lettore, la storia non appartiene più allo scrittore, ma a chi la sta leggendo. Il lettore s’impadronisce di vicende, luoghi e personaggi e spesso anche quello che uno scrittore pensa di aver definito in modo certo e indiscutibile, viene interpretato in modo diverso. Forse, in altri ambiti di scrittura artistica, a condurre è l’autore; in narrativa c’è una “compartecipazione” del lettore che dà un contributo a volte sorprendente. E’ successo che qualcuno abbia “visto” momenti della narrazione in modo del tutto diverso e inaspettato rispetto a come li avevo immaginati, così come i miei personaggi che, pensavo, non potessero essere che come li avevo pensati.

Come è cambiata la tua vita scrivendo?

Non saprei rispondere a questa domanda. Forse non è cambiata affatto pensando che ho cominciato a “imbrattar carte” sin da ragazzo. Certamente i riconoscimenti che i miei romanzi hanno ottenuto e la prima pubblicazione dopo la partecipazione nel 2000 al Premio Calvino, sono stati dei momenti di passaggio importanti e molto gratificanti, ma non ho mai pensato che davanti a me si stesse spianando la strada verso un Nobel. Sono una persona consapevole delle proprie capacità ma anche dei propri limiti (e sono tanti!) e quindi non ho mai pensato che la scrittura potesse darmi chissà che tipo di vita straordinaria.

Dove hai trovato l’ispirazione per ideare queste pagine?

Studiando i fatti storici successivi all’attentato alle Torri gemelle del 2001 e imbattendomi in due saggi scritti nei primi anni duemila da Claudio Fava e Giulietto Chiesa, due importanti giornalisti che furono anche deputati al Parlamento europeo. In quegli stessi anni, la CIA nel tentativo di disarticolare le organizzazioni terroristiche islamiche e vendicare gli USA per l’attacco dell’11 settembre, condusse un’operazione chiamata in codice “extraordinary renditions”, una serie di rapimenti mirati di presunti terroristi condotti in diversi Paesi del mondo, soprattutto in Europa. Questi rapimenti, a tutti gli effetti degli atti illegali, comportarono la deportazione verso paesi compiacenti, dove i servizi segreti locali provvidero a torturare i prigionieri per conto della CIA con lo scopo di ottenere informazioni. Molte vititme scomparvero nel nulla. In Italia avvenne uno dei rapimenti più noti, quello di Abu Omar, un imam della comunità di Milano, che fu catturato proprio in città e poi portato in Egitto per essere “interrogato”. Questo fatto, come altri accaduti in territorio europeo, portò alla formazione di una commissione d’inchiesta del Parlamento di Strasburgo e i due giornalisti/deputati italiani ne fecero parte e i risultati dell’inchiesta finirono nelle pagine dei loro saggi/reportage che ho letto. Poi ho avuto l’occasione di fare un viaggio in Algeria che era appena uscita dalla sanguinosa guerra civile degli anni Novanta e da lì ho tratto un’altra parte importante della vicenda. Infine, mi piaceva tornare a raccontare Roma, la città in cui sono nato e ho vissuto a lungo, una città in cui la Storia ha intrecciato e sicuramente intreccia ancora, tante delle sue trame.

Che sensazione si prova dopo aver scritto un libro, (bello nel tuo caso)?

Prima di tutto grazie per il lusinghiero giudizio espresso nei confronti di “Tutte le parti del mondo”. Che dire? Durante la stesura del romanzo e le fasi di revisione e correzione ho provato la sensazione di aver fatto un buon lavoro. La rilettura di alcune pagine mi ha particolarmente soddisfatto, nel senso che ritrovavo esattamente ciò che era mia intenzione descrivere e trasmettere. La sensazione di aver fatto un buon lavoro e la gratificazione però possono arrivare solo dal giudizio dei lettori, il vero giudice, il banco di prova autentico del lavoro di un autore. Per il momento ho ricevuto solo giudizi molto positivi e anche le diverse domande circa un possibile seguito, mi hanno molto gratificato, perché evidentemente il romanzo ha convinto e i suoi personaggi sono entrati in contatto con i lettori. Sono però un autore “prudente” e quindi mi aspetto anche giudizi meno gratificanti, fa parte del gioco, del rapporto tra il cantastorie e il suo pubblico…

Come trovi l’ispirazione adatta per continuare quotidianamente a scrivere senza mai perdere l’entusiasmo degli esordi?

La realtà offre quotidianamente tante occasioni d’ispirazione, così come la storia peraltro. Sono da sempre molto curioso e attento a cogliere ogni possibile “suggerimento” e ho, per fortuna, una fantasia costantemente in attività tanto che, talvolta, ho perfino troppe idee e progetti per la mente. Forse l’entusiasmo mi viene dal fatto che dall’inizio della mia attività ho sempre pensato che sarei riuscito a scrivere buone storie se avessi raccontato vicende che io stesso avrei letto e apprezzato. E sono tuttora “affamato” di storie.

Quando hai capito di essere portato per il mondo dell’arte, della cultura e della scrittura?

Penso sin dall’infanzia. Già da bambino ascoltavo musica, leggevo libri e fumetti, ero attirato dalle opere d’arte, dalla storia. Non c’è stato un momento in cui mi sono detto “Però! Quanto mi piace tutto questo!” semplicemente per me era normale, quotidiano avere contatti con questi ambiti. Come forse ho già detto, c’è giusto stato un momento in cui mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto non solo fruire della cultura, ma anche partecipare molto modestamente, alla sua produzione.

Se potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?

Un regalo all’umanità potrebbe farlo solo una divinità e io non ho certo questa statura. Scherzi a parte, ho una personale visione dell’esistenza e della natura umana particolarmente scettica, se vogliamo scarsamente fiduciosa: qualcuno potrebbe definirla pessimista, io preferisco chiamarla realista. Così credo che per correggere gli aspetti negativi, malvagi della natura umana un solo dono non basterebbe, ne occorrerebbero tanti, forse troppi. Ragionando in modo utilitaristico poi, se l’umanità correggesse i propri difetti, come scrittore mi verrebbe a mancare la metà del possibile materiale narrativo. Ma, sul serio, rinuncerei serenamente alla possibilità di scrivere se l’umanità risolvesse anche solo uno dei tanti gravi problemi che l’assillano.

Quale sogno è tuttora nel tuo ‘famoso’ cassetto?

Vincere il Premio Nobel… scherzo ovviamente. Uno dei miei sogni sta per realizzarsi: nei prossimi mesi verrà pubblicato un graphic novel su una mia sceneggiatura. Per un amante dei comics, purtroppo negato per il disegno, questo significa poter finalmente entrare in un mondo che ho sempre apprezzato molto. Il sogno che vorrei veder realizzato è la trasposizione cinematografica di un mio romanzo o la realizzazione di una serie sempre da un mio lavoro; ovviamente il massimo sarebbe poter partecipare alla sceneggiatura di uno o dell’altra e ritrovare un altro “amore” come il cinema.

In soli tre aggettivi come puoi descrivere il tuo progetto editoriale realizzato per Bertoni Editore?

Approfitto di questa domanda per ringraziare sia Jean Luc Bertoni che Leonardo Di Lascia, curatore della collana IRA, per aver apprezzato il mio romanzo e averlo pubblicato. Descrivere “Tutte le parti del mondo” con tre aggettivi non è semplice, ma provo: appassionante, emozionante, ricco di spunti di riflessione.

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