Michela Trada: Un libro per spiegare cosa sono lo storytelling, il content marketing e il brand journalism.

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Storytelling, content marketing, brand journalism: queste le tre tecniche di scrittura esaminate con esempi e casi studio per arrivare a definire in modo autentico il proprio personal branding e incrementare la propria reputazione online e offline dalla giornalista Michela Trada nel suo libro “Scrivere per fare business, dal personal branding al brand journalism” (Do it human).

“Se esiste una condizione meritocratica nel fare impresa, riguarda la comunicazione”. Questa è la prima riga che si legge nell’interessante prefazione di Alessio Beltrami, professore presso l’Università di Milano Bicocca dove tiene il corso di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media. Spiegaci meglio….

“I media tradizionali, specialmente nell’epoca del boom economico, ci hanno abituati a una disparità che non contemplava eccezioni. Infatti, l’elemento economico ha sempre rappresentato un filtro all’ingresso per quelle aziende che non potevano acquistare spazio e tempo su radio, giornali e televisione. L’online non è gratis, ma la discriminante per la prima volta non è il budget. La discriminante è la capacità di coinvolgere il cliente andando oltre la formula “caratteristiche e prezzo”. Come? Attraverso la scrittura dei contenuti”.

“Brand, branding” e la più antiquata parola marca: cambiano i tempi e gli influssi linguistici, ma di fatto il concetto rimane lo stesso?
“Nel libro c’è un passaggio a me molto caro in merito a questo concetto, cerco di riportarlo qui nel migliore dei modi. Quando nasciamo, quando diamo ossigeno ai polmoni per la prima volta, siamo già i portavoce di un brand, del nostro unico (nel senso di esclusivo) brand: il nostro nome e cognome. Su quel braccialetto di plastica è incisa, è marchiata, appunto, la nostra brand identity. Crescendo siamo stati abituati a dare una connotazione negativa, forse per cultura, a questa visione; “essere il figlio di” spesso, nel linguaggio comune, assume un tratto dispregiativo, clientelare, anziché di spinta emotiva. Eppure il nostro brand altro non siamo se non noi stessi. Noi siamo la nostra azienda, la nostra impresa, la nostra marca; poco importa che, in termini occupazionali, si abbia una partita Iva singola, una Srl o si rappresenti da “dipendenti” una società non costituita da noi. Che impatto vogliamo lasciare con e nella nostra vita? Chi vogliamo essere? Cosa vogliamo che le generazioni future pensino o dicano di noi? Come ci sentiamo quando pronunciamo il nostro nome e cognome ad alta voce? Scegliere di essere noi stessi è la scommessa più grande che possiamo giocare e per poterla vincere dobbiamo imparare a comunicare e a comunicarci secondo le nostre regole e il nostro linguaggio”.

Dopo queste due premesse, si può quindi utilizzare la scrittura per fare business?
“Si deve usare la scrittura per fare business; è l’unico strumento che ci permette di essere trovati in rete per come vogliamo essere realmente trovati. È la scrittura che ci indicizza su Google e sui principali motori di ricerca; è la scrittura che “rimane” nonostante i tempi che mutano”.

Essere un o una giornalista ritieni che sia un valore aggiunto per farlo bene?
“Assolutamente sì. Il giornalista in quanto tale quando svolge la sua professione si rifà ad una carta deontologica giuridica ben definita che diventa garanzia valoriale. L’etica dovrebbe essere sempre un baluardo giornalistico; per questo ho scelto il brand journalism perché dà la possibilità di comunicare realmente l’impresa e le persone per i valori e non per i prodotti/servizi”.

Hai mai trovato chi ti dice di essere ormai in ritardo per iniziare e imparare a scrivere di se stessi e della propria azienda partendo dai propri valori e dal proprio perché?
“Quasi tutti mi fanno questo appunto o meglio: in tanti rispondono sempre “io non ho niente da dire” oppure “io non so cosa scrivere”. Poi quando entro in modalità intervista e utilizzo le mie tecniche per entrare “in profondità” ed empatia con il mio interlocutore potremmo avere materiale per la stesura di un libro. Oggi andiamo troppo di corsa senza fermarci a pensare sui nostri perché e sulla nostra vera essenza. La routine ci consuma e tendiamo ad omologarci; in realtà ognuno di noi è speciale ed unico e merita di essere conosciuto proprio per questo”.

Immaginandoci nel 2050, come vedi la comunicazione, i social e i mass media?
“Auspico di ritrovarla più lenta e profonda collegandomi alla domanda precedente. Difficile ipotizzare una comunicazione più superficiale di quella odierna dove sono i titoli a farla da padrone; credo che si arriverà ad un gigantesco tappo iperinformativo che porterà tutti a scremare e a differenziare sempre di più. Pochi follower, community molto coese e vere”.

In chiusura, da chi vorresti ricevere una recensione per il tuo libro?
“A livello giornalistico, ho sempre ammirato Milena Gabanelli; a livello comunicativo il mitico Pippo Baudo. A livello imprenditoriale azzarderei un Silvio Berlusconi”.

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