Non possiamo più attendere, calcio italiano sotto attacco

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di Alexandra Colasanti

La crisi della nazionale Italiana, è dovuta, quasi sempre quando si parla di questo argomento avvincente, scivoloso allo stesso tempo, a quello che c’è dietro: la Federazione Italiana giuoco calcio.

Tralasciare questo, sarebbe affrontare il tema della crisi della nostra bandiera calcistica nel mondo, in modo parziale, focalizzarci solo sui giocatori o solo sugli allenatori priverebbe la nostra mente di un’analisi lucida ed oggettiva del problema.

Quello che bisogna analizzare è la struttura del calcio in Italia: il vertice.

La Federazione continua ad avere un campionato a venti squadre che chiaramente con gli impegni della nazionale, delle Coppe, ora anche il Mondiale per Club, sta distruggendo i giocatori, alcuni di essi, stanno viaggiando al ritmo di sessanta partite l’anno, giocano trecentoquaranta giorni, difficile credere che si arrivi motivati all’impegni delle nazionali!

In secondo luogo, con dati alla mano prodotti da Pwc attraverso “Report calcio”, o tramite il Centro Internazionale di studi sportivi, c’è più del sessanta percento di giocatori stranieri nella nostra Serie A, non c’è nessun incentivo ad investire nei vivai e nelle seconde squadre, il che porterebbe a crescere i giovani per poi farli esordire nelle prime divisioni ed essere pronti a overperformare in Nazionale.

Se andiamo ad analizzare con la lente di ingrandimento, la Nazionale che ci ha fatto cantare a squarciagola l’Inno d’Italia patriotticamente non c’è più.

Come si coltivano giovani Italiani? Certo non creando il Porta Portese calcistico, vendendo o forse svendendo i nostri giovani talentuosi all’estero, perché qui non giocano. Un’attenzione sarebbe anche quella di inserire nel regolamento un minutaggio minimo in Campionato, così da permettere che giochino e si facciano le ossa concretamente sul terreno di giuoco, senza questo serbatoio non saranno solo due le volte che non andrà ai Mondiali e diciotto gli anni dalla vittoria.

Tutto questo sta influenzando anche il nostro Campionato: sempre più terra di passaggio come gli immigrati in cerca di speranza e non terra di approdo come gli anni d’oro in cui Van Basten, Maradona e Falcao ci omaggiavano delle loro fantasiose creazioni, senza troppi tatticismi, pane per chi di pallone mastica gli anni 2.0.

 

In terzo luogo c’è un problema di cultura, i giovani oramai pensano che il calcio sia solo quello di vertice e quindi manca il gusto di giocare per il semplice divertimento, un allenamento senza ansia da prestazione, tutto diventa tattica.

Anche nelle squadre giovanili si insegna ad essere meccanici, nella ripetizione degli schemi, e quindi non si privilegia più quel gusto della giocata, del dribbling, della fantasia che fanno emergere i giocatori di talento.

In questo Paese uno Yamal non avrebbe il permesso di crescere: l’estro, la fantasia, l’imprevedibilità non sono concessi; il nostro stivale è terreno anche per chi, preposto all’insegnamento, inculca il rispetto dei compartimenti stagni, della ripetizione degli schemi, visti e rivisti, prevedibili e noiosi, che sono semplicemente la morte di ogni minimo segnale di lungimirante follia creativa.

Vedi la Germania con Musiala, la Francia con Mbappe’, la Spagna con Yamal e…

Noi… coltiviamo solo le poltrone ai vertici oramai marce da interessi e strette di mano sulla carta, mentre nei campi fra poco finiremo vittime dell’evoluzione positiva o negativa di questa società.

I social stanno distruggendo i neuroni dei giovani che con il bombardamento di immagini non leggono più e se gli si chiede cosa ci sia scritto sotto un “post” si domandando – Esiste qualcuno che legge? -, così i nostri giovani giocatori la loro libertà è repressa da una gara continua a chi insegna lo schema o la giocata migliore, che sono il canovaccio di una bellissima tesi da presentare al centro tecnico di Coverciano, in aula per onorificenze istituzionali , ma poco a che vedere hanno con il bambino che inizia a muovere i suoi passi nel campetto dell’oratorio quando le porte si delineavano con due sassi e le gambe andavano sole, la testa smetteva di ragionare ed i piedi pennellavano facendo ruotare il pallone solo con l’aiuto della fantasia.

 

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